Articolo 21 della Costituzione Italiana

Articolo 21 della Costituzione Italiana:
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mercoledì 10 novembre 2010

IL MURO DI BERLINO - 9 NOVEMBRE 1989

COMMEMORAZIONE 

DELLA CADUTA DEL MURO DI BERLINO.

TRATTO DAL SITO ITALIAN SAMIZDAT


A vent’anni dalla caduta del muro di Berlino, il famigerato e tristemente famoso ostacolo che si frapponeva tra gli anticomunisti dell’est e il loro desiderio di evadere dalla prigionia attuata dal regime sovietico comunista, si celebra la fine della brutalità che divideva, appunto, la Germania in due fazioni contrapposte.
Nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1989, il Muro di Berlino, costruito nel 1961, fu abbattuto e la frontiera verso la Germania Ovest fu aperta.
Per celebrare questo avvenimento epocale che mutò radicalmente i destini della Germania portando alla riunificazione del Paese, sono in programma diverse mostre, feste e altri eventi. Un'occasione storica, turistica, culturale, per riscoprire il recente passato del nostro continente e per rivivere le emozioni di accadimenti eccezionali.

Più di 100.000 cittadini della RDT (Repubblica Democratica Tedesca) ( in tedesco Deutsche Demokratische Republik, abbreviato in DDR), nota anche come Germania Est, cercarono di fuggire oltrepassando il confine tra le due Germanie o il Muro di Berlino.
Diverse centinaia di loro vennero uccisi dal fuoco dei soldati delle truppe di frontiera della RDT oppure morirono nel corso del tentativo di fuga.
Il Sacrario del Muro di Berlino, il Sacrario Günter Litfin, il Parlamento degli alberi, il monumento commemorativo nell’edificio Marie-Elisabeth-Lüders-Haus e altri luoghi della memoria, sorti già tra il 1961 ed il 1989 a Berlino Ovest, ricordano oggi i morti del Muro di Berlino, a loro imperitura memoria, per il sacrificio estremo cui furono sacrificati.
Questa, come tante altre, è l’ennesima dimostrazione di come il cancro comunista abbia fatto, anche al di fuori dei confini dell’impero sovietico, tante vittime innocenti, colpevoli di non essersi allineate con la filosofia di pensiero marxista leninista, alla base della politica comunista.
Lo testimonia l’alto numero dei morti nel mondo che solo nel secolo 1900 arriva alla tragica conta di 100 milioni di vittime.
Le stime effettive di questo olocausto, sono oggi ben documentabili, grazie all’apertura degli archivi dei paesi dell’est europeo, e confermati da numerosi testimoni diretti che ne hanno subìto le conseguenze, sia come dissidenti dei regimi comunisti, attivamente impegnati in una opposizione di contrasto, sia come semplici relatori di episodi storicamente non confutabili in cui emergono dirette responsabilità nell’attuazione di strategie per lo sterminio di intere classi su basi sociali, etniche, razziali, religiose.
Le esecuzioni capitali, e i milioni di morti, a volte provocati da forme di controllo delle masse, e da speculazioni economiche su base terroristica, come la famigerata carestia che fu indotta a ripetizione per piegare i proprietari terrieri dell’ucraina, i cosiddetti contadini ricchi, sono tra le più efferate che la storia dell’umanità possa individuare.
I regimi comunisti, tramite la loro sanguinaria organizzazione del potere, i servizi segreti, l’esercito, i giudici, la delazione imperante a tutti i livelli della società, il Comintern internazionale, hanno soddisfatto la loro sete di potere e di sangue prendendolo direttamente dalle vene del popolo.
Ufficialmente, è proprio in nome di quel popolo, che era stata fatta la rivoluzione russa nell’ottobre del 1917.
Contrariamente a quanto si pensa, a causa della mancanza di informazione, o della colpevole manipolazione della storia messa in atto da una parte consistente di intellettuali faziosamente schierati dalla parte del comunismo, la sollevazione non fu popolare, non ci furono grandi masse che si ersero come combattenti rivoluzionari, ma, anzi, si trattò di un’operazione quasi puramente militare, condotta da un piccolo numero di Guardie Rosse, proveniente solo in parte dalle fabbriche, e da un più numeroso gruppo di soldati bolscevizzati.
Le masse lavoratrici, nonostante gli appelli alla rivoluzione, erano sconcertate, e rimasero inattive, come spettatori ininfluenti e passivi.
Quindi, poche migliaia di ‘compagni’, sia nell’attuazione della rivoluzione, che nella guerra civile che seguì, si imposero alla Russia, e ai vari rappresentanti di tutte le tendenze politiche.
La stessa strategia basata sulla violenza e la sopraffazione, a loro congeniale (Lenin, Stalin, ecc.) per la forzata attuazione del comunismo, fu poi esportata in tutto il mondo.
Nelle prime ore del 13 agosto del 1961 le unità armate della Germania dell'est interruppero tutti i collegamenti tra Berlino est e ovest e iniziarono a costruire, davanti agli occhi esterrefatti degli abitanti di tutte e due le parti, un muro insuperabile che attraversava tutta la città, che divideva le famiglie in due, e tagliava la strada tra casa e posto di lavoro, scuola e università.
Non solo a Berlino ma in tutta la Germania il confine tra est ed ovest, che fino a quel momento con un po' di coraggio e gambe veloci era superabile, diventò una trappola mortale.
I soldati ricevettero l'ordine di sparare su tutti quelli che cercavano di attraversare la zona di confine che con gli anni fu attrezzata con dei macchinari sempre più terrificanti, con mine anti-uomo, filo spinato alimentato con corrente ad alta tensione, e addirittura con degli impianti che sparavano automaticamente su tutto quello che si muoveva nella cosiddetta "striscia della morte".
Per l'opinione pubblica la costruzione del muro fu uno shock, ma la reazione del mondo politico tedesco e internazionale fu tiepida e quasi disinteressata.

Il cancelliere tedesco Konrad Adenauer attese nove giorni, prima di recarsi a Berlino, mentre il Presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy dichiarò che non erano in pericolo gli interessi americani, e che, anzi, visto l’aumento dei profughi dell’est verso l’occidente, questo muro poteva essere anche interpretato come un fatto positivo, come dichiarato dall’allora responsabile del Ministero degli Esteri d’oltre oceano.
Fu solamente in seguito, dopo le reiterate crudeltà e le violazioni dei diritti umani, che giornalmente costituivano l’ossatura di un regime che ne aveva fatto il proprio modus operandi, che l’Occidente, americani in testa, si ricredette.
La famosa visita di Kennedy a Berlino rimase nella memoria collettiva, e si radicò nel cuore e nelle menti di coloro che soffrivano la dittatura comunista, allorchè il famoso statista, davanti a migliaia di entusiasti berlinesi disse :
"Ich bin ein Berliner":
"Anch'io sono un abitante di Berlino".
In quegli anni si assiste ad un boom economico della Germania ovest, grazie anche ai finanziamenti e agli investimenti americani, mentre la parte est della Germania rimase invischiata in una stasi economica che portò crisi in tutti i settori della vita sociale, grazie anche alla pretesa rifusione dei danni di guerra reclamati dall’Unione Sovietica.
Tutti, o quasi, coloro che cercarono una via d’uscita alla crisi in una migrazione da Berlino est verso l’occidente, trovarono l’arresto o la morte, uccisi dalle guardie comuniste.
Ancora una volta, reiteratamente, con uno stillicidio di vite umane, negando la libertà e il diritto all’auto determinazione dei popoli, il comunismo mieteva vittime innocenti.
Questo stato di cose, ha continuato ad esistere fino alla riunificazione delle due Germanie e alla caduta del muro di Berlino.
Accadde che, per svariati fattori, ci fosse la necessità da parte dei sovietici, di lasciare che la storia facesse il suo corso.

Una prima causa è individuabile nell’ascesa al potere di Michail Gorbaciov e la sua radicale trasformazione della politica e dell’economia : la “Perestroika”.
La sua visione globale della società doveva essere improntata a canoni di trasparenza politica, che iniziarono a cambiare la realtà sovietica.
Questa famosa interpretazione politica di Gorbaciov, prese il nome di Glasnost (trasparenza).
La seconda causa è da riscontrare nella diversa risposta dei Berlinesi dell’est nei confronti della scelta delle vie di fuga sino ad allora cercate.
Si tentò infatti di usufruire delle diverse ambasciate, che costituivano territorio di altri stati, quindi rifugio sicuro.
Nell'estate del 1989 la gente della DDR trovò un'altra via di fuga : erano le ambasciate della Germania Federale a Praga, Varsavia e Budapest il territorio occidentale dove si poteva arrivare molto più facilmente! Cominciò un assalto in massa a queste tre ambasciate che dovevano ospitare migliaia di persone stanche di vivere nella DDR.
Ma il colpo decisivo arrivò quando l'Ungheria, il 10 settembre, aprì i suoi confini con l'Austria.
Ora, la strada dalla Germania dell'est all'ovest (attraverso l'Ungheria e l'Austria) era libera!
La valanga di fuga stava diventando inarrestabile…

Altra causa concomitante che ha dato impulso alla risoluzione di questa vergognosa imposizione, è da rilevare nella consacrazione al ruolo guida della religione cattolica di Papa Karol Wojtyla del 16 ottobre 1978.
Sua Santità, cresciuto in una Polonia oppressa dal regime comunista, e quindi consapevole e informato sulla situazione socio politica in corso nei paesi dell’est europeo, continuò a svolgere un ruolo, quello di oppositore, che aveva interpretato fin da ragazzo.
La sua mutata posizione gerarchica in seno alla Chiesa gli permise di ergersi a paladino in difesa delle negate libertà dei suoi connazionali, e questa ventata di anelito alla speranza ebbe conseguenze e ripercussioni anche nella Germania dell’Est, ove il popolo assorbiva, giocoforza, nuova linfa vitale nella lotta contro l’oppressione comunista.
Nella notte tra il 9 e il 10 novembre del 1989 si aprirono i primi varchi che avrebbero cambiato i destini dell’Europa e del mondo, dando il via a un profondo mutamento dello scacchiere politico, economico e sociale.
La lotta contro il mostro incarnato dal comunismo nei suoi multiformi mimetismi però, deve continuare, in quanto mai sconfitto definitivamente.
Lo testimoniano la perduranza delle strategie di sopraffazione e di accanimento contro gli oppositori politici nei regimi come quello di Putin, così come quello imperante a Cuba, in Cina, in Cambogia, in Vietnam, e in tutti quelli che hanno abbracciato l’ideologia marxista.
Lo testimoniano i fatti, le cronache quotidiane che registrano episodi di spargimento di sangue, stragi, esecuzioni, violenze contro chi è reo di non avere le stesse idee del regime.
Nella Russia di Putin, secondo una recente notizia di agenzia (ANSA), a pochi giorni dal 20° anniversario della caduta del Muro di Berlino sono pochissimi i giovani che sanno di quale evento si sta per celebrare la ricorrenza.
La caduta del Muro?
Questa domanda fa cadere nell'imbarazzo o negli strafalcioni storici gran parte dei ventenni russi,la prima generazione postsovietica cresciuta tra crisi e boom petrolifero, oligarchi e McDonald's, in un disincanto e in un'apatia politica che lascia spazio solo al sogno del benessere.
Per loro il 9 novembre sara' un giorno come un altro.
Per noi deve invece essere e sarà un ricordo, sempre vivo, che mantenga alta la soglia di attenzione, che impedisca il ricorso storico a stereotipi che fanno riferimento a manipolatori della verità, come Togliatti e tutta la schiera di intellettuali comunisti, lordi anch’essi di quel sangue innocente versato di cui hanno negato l’esistenza.
Per noi deve essere una giornata speciale, in cui brinderemo, alzando i calici in memoria di coloro che non saranno purtroppo presenti, annientati dal regime, deportati, torturati, uccisi, e che rimarranno nei nostri cuori oltre che nelle pagine di storia.

Penso ad eroi come Jan Palach che, nel1968, si diede fuoco a Praga per protestare contro l'invasione Russa della Cecoslovacchia.
Penso a Gustaw Herling, lo scrittore polacco che, dopo aver trascorso alcuni anni nei gulag sovietici, ci ha poi potuto trasmettere la sua testimonianza sull’inferno delle prigioni e dei campi di lavoro di Stalin.
Penso ad Alexandr Solzenicyn che, condannato ad otto anni di lavori forzati per aver criticato la politica di Stalin, dovette subire gli orrori di una industria carceraria che basava sullo sterminio i suoi cardini esistenziali.
Penso ad Anna Politkovskaja la coraggiosa giornalista della Novaja Gazeta che, testimoniando sugli orrori della odierna tragedia cecena è diventata, agli occhi di Putin, un pericoloso intralcio ai piani di sterminio programmati da Mosca, pagando così con la sua stessa vita.
Penso a Natalia Estemirova, la giornalista ‘erede’ della Politkovskaja che, interpretandone lo stesso ruolo, ne ha seguito il tragico destino.
Cosa rispondono gli intellettualoidi di casa Dalema ?
Che scuse possono addurre i seguaci di un retaggio post comunista, metamorfizzato nell’apparenza ma invariato nella sostanza, che proseguono una tradizione di manipolazione dei fatti, secondo schemi già consolidati ?
Loro certamente non brinderanno il 9 novembre.
Lo farò io… a testimonianza che il comunismo troverà sempre qualcuno, come me, pronto a combatterlo, in tutte le sue forme.

In alto i calici… Brindo alla libertà.

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