Articolo 21 della Costituzione Italiana

Articolo 21 della Costituzione Italiana:
"TUTTI HANNO DIRITTO DI MANIFESTARE LIBERAMENTE IL PROPRIO PENSIERO CON LA PAROLA, CON LO SCRITTO E OGNI ALTRO MEZZO DI DIFFUSIONE. LA STAMPA NON PUO' ESSERE SOGGETTA AD AUTORIZZAZIONI O CENSURE"

mercoledì 20 giugno 2012

DOLCE FIERA O DOLCE CINA ?

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Si è appena conclusa la tredicesima edizione della manifestazione "La Dolce Fiera" di Minerbio, con tanto di "Notte bianca", festeggiamenti, e carri carnevaleschi.
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Personalmente dissento da questo clima di forzata allegria, consapevole della tragedia che ha colpito l’Emilia intera a causa del terremoto, anche se le motivazioni ufficiali di chi ha voluto che si procedesse alla realizzazione di questa manifestazione si basano sul fatto che si sarebbero raccolti fondi pro terremoto.
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Secondo me si poteva lo stesso indire una raccolta di fondi e di aiuti tra la popolazione locale, senza per questo svagarsi come a carnevale mentre i nostri vicini di casa piangono i loro lutti e vivono nelle tende.
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Fatto sta che oggi, sulle pagine locali  de “Il Resto del Carlino” troneggia la solita immagine del nostro Sindaco tra due Miss (un evento annuale inserito nella manifestazione) a riprova del fatto che le apparizioni mediatiche sono una prerogativa caratteristica del Primo Cittadino minerbiese.
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Infatti, è il Sindaco che appare con maggiore frequenza sul quotidiano bolognese, grazie alla solita e ritrita collaborazione di Matteo Radogna, che assume quasi l’aspetto di suo addetto alle pubblic relations.
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Mentre il Sindaco si affaccendava nelle sue esibizioni mediatiche, appagando le sue esigenze di protagonismo, intanto la “macchina da guerra cinese” sistemava un altro tassello nel grande puzzle di monopolizzazione dei mercati.
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Tutti coloro che hanno passeggiato lungo la via principale del paese in occasione della kermesse hanno potuto constatare come l’apparato commerciale e la struttura portante della manifestazione stessa,  con tutte le presenze di bancarelle e di venditori, sia stata interamente, o quasi, monopolizzata e fagocitata dai cinesi.
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Il 95 % del mercato era infatti di etnia cinese, che sempre in numero maggiore stanno scalzando i nostri commercianti italiani.
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Tutto ciò è reso possibile dal fatto che i prezzi esibiti da costoro sono molto bassi e comprensibilmente appetibili, specialmente in questo periodo di crisi.
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Quello che le persone forse non sanno è che la merce venduta nelle bancarelle cinesi rappresenta solo l’ultimo anello di una lunga catena di sangue e dolore che parte dalla Cina stessa, in cui ha origine invece il primo degli anelli.
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Nel paese del Celeste Impero, in cui vige ancora oggi un asfissiante comunismo, feroce e sanguinario, esistono grandi lager camuffati da fabbriche, volutamente celati e mimetizzati.
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Questi luoghi dell’orrore, altro non sono che i famigerati Laogai, o luoghi di rieducazione forzata attraverso il lavoro, in cui vengono rinchiusi tutti coloro che esprimono qualche seppur minimo motivo di dissenso verso il regime comunista.
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Uomini, donne, e perfino bambini sono deportati a migliaia ancora oggi, e sottoposti a tortura per costringerli a lavorare gratis, in turni massacranti e in condizioni disumane.
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Le tante persone che non sopravvivono diventano oggetto di espianto di organi, che la Cina vende al miglior offerente, ponendosi al primo posto nel mondo per la commercializzazione di organi umani.
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La merce prodotta è tutta quella che potete vedere sui banchetti, come quelli di Minerbio, per la cui produzione a costo zero (e quindi competitiva al massimo) sono stati torturati e uccisi tanti esseri umani.
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I gerarchi comunisti, facilitano l’emigrazione di coloro che sono disposti a fare da anello finale (quello della vendita) e invia in Italia famiglie intere, che sistematicamente si insediano nel panorama commerciale non solo italiano.
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Il Governo cinese, per mezzo delle sue fabbriche (i famigerati Laogai camuffati) invia in tutta Europa ,con frequenza assillante, enormi container in cui sono stipati i prodotti della produzione periodica.
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I destinatari sono tutti quei cinesi che costituiscono insieme un unico e grosso CANCRO sociale, dal momento che vivono sulla pelle dei loro sfortunati connazionali, e che oltre tutto mettono in ginocchio la nostra economia.
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Infatti, tutta questa movimentazione non produce alcun aumento dei posti di lavoro, visto che i cinesi all’estero costituiscono gruppi chiusi e impenetrabili che si avvalgono di mano d’opera fornita dai loro stessi connazionali, spesso veri e propri schiavi ammassati e nascosti in maleodoranti cantine umide e insane.
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Inoltre, potendo disporre di merce a costo zero, stanno monopolizzando interi mercati e settori merceologici, mettendo sul lastrico le aziende italiane che per produrre lo stesso materiale devono subire i costi delle tasse, dei contributi, dell’assistenza sanitaria, e delle maestranze.
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Lo Stato non fa nulla  per impedirlo, anche se sarebbe sufficiente imporre dei forti dazi alle importazioni per costringerli a stare al di sopra di una soglia minima di prezzo.
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Il guadagno che il cittadino crede di fare comprando dai cinesi, è frutto del lavoro in condizioni di schiavitù di bambini, donne, e interi nuclei familiari.
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Inoltre, non solo la qualità dei loro prodotti è quasi sempre scadente, ma presenta anche caratteristiche di vera e propria nocività e pericolosità per la salute, come testimoniano i frequenti ( ma ahimè insufficienti) sequestri dei Nas.
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L’unico mezzo che abbiamo quindi per arginare questo fenomeno è quello di boicottare i prodotti cinesi, smettendo di farci allettare dai loro prezzi bassi (ma insanguinati).
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Chissà se il nostro Sindaco pensava a queste cose mentre si beava mediaticamente, immortalato con le due Miss di turno …
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Certo è che il comunismo forse non gli dà molto fastidio, viste le origini del partito che è dietro le sue spalle !
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Personalmente, rinnovo il mio invito a tutti quei minerbiesi che hanno a cuore i valori della libertà e della democrazia per BOICOTTARE I PRODOTTI CINESI, disertando manifestazioni come quella a cui abbiamo appena assistito , "la Dolce fiera”, che sarebbe bene ridenominare per l’appunto : “la Dolce Cina”.
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Dissenso
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