Articolo 21 della Costituzione Italiana

Articolo 21 della Costituzione Italiana:
"TUTTI HANNO DIRITTO DI MANIFESTARE LIBERAMENTE IL PROPRIO PENSIERO CON LA PAROLA, CON LO SCRITTO E OGNI ALTRO MEZZO DI DIFFUSIONE. LA STAMPA NON PUO' ESSERE SOGGETTA AD AUTORIZZAZIONI O CENSURE"

giovedì 9 gennaio 2014

TIBET : IL FUOCO SOTTO LA NEVE

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A tutt’oggi, quotidianamente, in Tibet prosegue l’opera cinese di annichilimento del popolo tibetano, iniziata nello stesso momento dell’aggressione armata della Cina a questo territorio, fino ad allora indipendente.
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Nel 1950 le truppe dei comunisti cinesi entrarono nel Paese, dilagando nel Tibet orientale con 40.000 uomini del cosiddetto esercito di liberazione popolare.
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L’indifferenza del mondo intero, di fronte a questa manifestazione di spavalda ferocia, si trincerò dietro al fatto che il Tibet non era ancora riconosciuto come Stato indipendente a livello diplomatico, ma come territorio interno alla Cina.
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La massima autorità riconosciuta dal popolo tibetano veniva identificata nella persona del Dalai Lama, Tenzin Gyatso, ma la potenza militare cinese obbligò tutti a riconoscere l’autorità imposta di Mao Tse Tung e del suo “secondo” Deng Xiaoping.
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La cosiddetta “Rivoluzione culturale” di Mao impose a chiunque non solo di esprimersi, ma anche di pensare, e di agire, solo nell’unico modo consentito da una nuova concezione socialista.
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Secondo i parametri cinesi, bisognava purificare le menti, e confessare i propri crimini, sottomettendosi al volere del popolo. 
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Fu istituita la pratica delle sessioni giornaliere di auto denuncia e di studio, in cui ognuno doveva emendarsi, mostrando rammarico, confessando i propri errori e denunciando quelli di altri.
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Nessuno era esente da questa pratica, a cui si doveva partecipare attivamente, e non era consentito non denunciare qualcuno, poiché ciò era dimostrazione di spirito reazionario e anti rivoluzionario.
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Si creò quindi un clima surreale di sfiducia e di terrore, in cui le sorelle denunciavano i fratelli, i figli puntavano il dito contro i padri, e in cui gli interpreti di attività come quella di “maestro elementare” venivano sottoposti a verifica e a sedute di studio, come sospetti di attività borghese e contraria al volere delle masse.
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In particolare al popolo tibetano venne proibito di manifestare qualsiasi richiamo alla religione, o al Dalai Lama, riconosciuto dai cinesi come massimo traditore e fulcro della ribellione anticinese.
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I monaci furono perseguitati, incarcerati, torturati,  uccisi,  e la loro repressione continua ancora oggi, nella quasi indifferenza della società cosiddetta “civile” internazionale.
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Centinaia di monaci si sono dati fuoco, trasformandosi in torce umane, per protestare contro la distruzione progressiva del mondo tibetano, fagocitato dal gigante cinese, e inglobato inesorabilmente.
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Palden Gyatso è uno dei monaci che la Cina ha costretto in catene per quasi tutta la sua esistenza.
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E’ stato tenuto prigioniero infatti per ben 33 anni, dal 1959 al 1992, e sottoposto ad ogni genere di sevizie.
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La sua liberazione, avvenuta grazie all’intervento di una sezione italiana di Amnesty International, ci ha permesso di conoscere tutti i particolari delle violenze che Palden è stato obbligato a subire.
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L’anziano monaco, sfinito e provato nel fisico, non ha mai cessato di amare il suo paese, e non appena ne ha avuto la possibilità ha scritto un libro in cui illustra gli abusi a cui i tibetani sono stati sottoposti dai comunisti cinesi.
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“ Tibet - Il fuoco sotto la neve “ è il titolo dell’opera con la quale denuncia la ferocia e il vero volto del comunismo cinese.
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Si tratta di un libro che tutti dovrebbero leggere per rendersi conto di cosa sia veramente il comunismo, e di come in suo nome si pratichi l’abuso come regola primaria di vita, di come in nome di Marx e di Stalin si vogliano “rieducare” forzatamente le coscienze di chiunque non sia perfettamente allineato ai suoi dogmi.
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La tortura e il terrore, insieme al disprezzo per la vita umana, sono i mezzi di persuasione usati dai comunisti per il raggiungimento del socialismo.
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La scusante ricorrente di dover rieducare le menti ostili al socialismo, è per i comunisti l’alibi ideale per poter ricorrere all’uso di mano d’opera gratuita, incarcerando nei Laogai gli oppositori del regime.
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Interi settori produttivi della Cina si reggono sull’uso di prigionieri, costretti a lavorare gratuitamente in fabbriche che in realtà sono lager a tutti gli effetti.
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Quando il detenuto muore, per le percosse o per il denutrimento, lo Stato Comunista Cinese provvede all’espianto e alla vendita dei suoi organi .
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La Cina è al primo posto nel mondo per il turpe commercio degli organi umani.
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Nonostante tutto ciò la comunità internazionale ed europea intrattiene normali rapporti di affari con il Governo cinese.
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All’Europa è stato addirittura riconosciuto il Premio Nobel, nel 2010, per il suo contributo a favore della pace, della riconciliazione, della democrazia e dei diritti umani.
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Nel 2008 a Pechino si sono tranquillamente svolte le Olimpiadi, senza che alcuna voce di protesta ufficiale si levasse dagli Stati partecipanti, tra cui l’Italia, contro l’assoluto dispregio dei diritti umani.
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I nostri governanti, anzi, in più occasioni hanno ricevuto i rappresentanti del Governo Cinese, con tutti gli onori, e con tanto di strette di mano e larghi sorrisi compiacenti.
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A questo rituale non si sono sottratti né Giorgio Napolitano, il nostro Presidente della Repubblica, né rappresentanti dei vari partiti politici, quali Berlusconi o Prodi, fotografati con i più grandi criminali della Storia contemporanea.
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Ecco una carrellata di “esempi” nei quali possiamo vedere :
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Napolitano che stringe la mano a Hu Jintao, Presidente cinese dal 2003 al 2013
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Napolitano che stringe la mano a Xi Jinping, l'attuale Presidente cinese
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Napolitano che stringe la mano a Omar el-Bashid, il dittatore sudanese condannato dalla
Corte di Giustizia  dell'Aja per crimini contro l'umanità, per gli eccidi compiuti in Darfur
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Berlusconi che stringe la mano a Hu Jintao, Presidente cinese dal 2003 al 2013
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Berlusconi che stringe la mano a Xi Jinping, l'attuale Presidente cinese
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Prodi che stringe la mano ad Ahmadinejad, il feroce dittatore iraniano
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I monaci tibetani, comunque, continuano a condurre una eroica resistenza contro l’oppressione comunista in Tibet, e il loro tributo in vite umane è altissimo.
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Sono ben 125 le auto-immolazioni  di coloro che hanno sacrificato la loro vita chiedendo a gran voce la libertà per il Tibet.
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L’invasione cinese ha oramai modificato la società tibetana, innestando sul loro territorio numerosissime famiglie cinesi di razza Han, che hanno sostituito le millenarie usanze e tradizioni tibetane con nuovi usi e costumi del “celeste impero”.

La lingua, la bandiera, i monasteri, le numerose forme d’arte come la pittura, gli strumenti di meditazione… tutto è stato annichilito e quasi totalmente distrutto e sostituito.
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L’avanzata cinese è inarrestabile e distruttiva, nella sua devastante corsa alla prevaricazione, e all’imposizione di un comunismo che sempre di più dimostra il suo vero volto.
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Il paradiso socialista si fonda in questo caso  sullo sterminio etnico sposando ferocia e violenza in un connubio devastante e immorale.
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Noi occidentali ne siamo correi ogni qualvolta giriamo lo sguardo per non vedere, oppure quando, come in occasione delle olimpiadi di Pechino, permettiamo che il Dio Denaro interceda benevolo al proseguo di interpretazioni subdole e ingannevoli.
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Come si possono festeggiare record olimpici mentre nei Laogai si torturano esseri umani ?
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Oggi le cose non sono cambiate.
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Da “Pechino 2008” sono trascorsi 5 anni ma i diritti umani rimangono in Cina un lontano irraggiungibile miraggio, anche per colpa nostra…

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Dissenso
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